Oggi vi ripropongo un articolo che reputo davvero interessante, pubblicato in una rivista medica e scritto dalla Dr.ssa Roberta Villa, medico, giornalista e divulgatrice scientifica. Utile per comprendere la situazione che stiamo vivendo e che ci prepariamo ad affrontare.
“Quando torneremo alla vita di prima, lasciandoci questo brutto periodo alle spalle?”
Qualcuno si è convinto che la svolta avverrà presto e all’improvviso, come con un colpo di bacchetta magica, quando sarà raggiunta la soglia della cosiddetta “immunità di gregge”: immunità di una percentuale di persone vaccinate sulla popolazione generale sufficiente a bloccare la trasmissione epidemica del virus. Il generale Figliuolo da mesi ventila l’obiettivo del 70 e poi dell’80% di copertura della popolazione bersaglio come indicatore di una situazione tranquilla, stabile, in cui si possono ancora verificare casi isolati, ma che trovano intorno a sé una barriera costituita da soggetti immuni capace di fermare il dilagare del contagio.
Capita così con il morbillo, quando in un ambiente più di 9 persone su 10 sono vaccinate, così da tutelare quell’unico che per età, patologia o altre ragioni non ha potuto (o voluto) ricevere il vaccino. La soglia da raggiungere per ottenere lo stesso scenario con Covid-19 dovrebbe essere più bassa, perché, per quanto contagiosa, la variante delta di SARS-CoV-2 non raggiunge l’R0 oltre 15 tipico del virus del morbillo. Eppure, secondo gli esperti, è molto improbabile che un quadro del genere si realizzi con Covid-19 per una serie di ragioni evidenti: non abbiamo ancora un vaccino per i minori di 12 anni, che rappresentano una parte importante della popolazione, a stretto contatto quotidiano nelle scuole; le campagne vaccinali non sono omogenee, lasciando interi continenti, come l’Africa, con livelli bassissimi di vaccinazione; infine, ormai sappiamo che l’immunità conferita dalla malattia o dal vaccino non è protettiva al 100% e che con ogni probabilità non è duratura nel tempo come quella contro il morbillo, che in genere si fa una volta sola nella vita. Di Covid-19 invece è possibile reinfettarsi dopo mesi dalla guarigione o contagiarsi, seppure in forma meno grave, nonostante la vaccinazione. La barriera che si dovrebbe creare intorno alle persone non vaccinate quindi è fragile, e non basta la scelta degli altri a proteggerle.
Negli ultimi mesi SARS-CoV-2 ha infatti dimostrato la capacità di evolversi acquisendo, in alcuni casi, oltre a una maggiore contagiosità, una parziale capacità di evadere l’immunità (naturale o indotta dal vaccino). Non dovremo stupirci se nelle prossime settimane emergeranno altre nuove varianti.
Occorre essere pronti a rispondere ai pazienti che ci fanno domande, con la consapevolezza che l’idea di un virus che diventa sempre meno aggressivo, come a qualcuno di noi è stato insegnato all’università, non è compatibile con i principi di Darwin. Come ogni specie, anche i virus tendono a replicarsi e diffondersi il più possibile. In una situazione come quella attuale, in cui ancora miliardi di persone nel mondo sono totalmente suscettibili, e il virus ha una grande capacità di passare da un individuo all’altro giorni prima della comparsa dei sintomi, il fatto che dopo una quindicina di giorni dall’infezione il paziente muoia o si rimetta, per il virus cambia poco. Il fattore selettivo è la capacità di replicarsi e trasmettersi ad altri individui, indipendentemente dagli effetti clinici più o meno gravi sul soggetto infettato.
Se così non fosse, tutti gli agenti infettivi che per millenni hanno devastato l’umanità avrebbero dovuto diventare innocui in pochi mesi: invece, dal virus della febbre gialla a ebola, moltissimi hanno conservato la loro virulenza e quello del vaiolo è stato sconfitto dal vaccino, ma senza mai deporre le armi.
E allora? Non ne usciremo mai? Moriremo di fame, come obietta qualcuno, per non morire di Covid-19? Non è il caso di essere così pessimisti.
I vaccini che il mondo della ricerca ha reso disponibili in tempo record, seppure oggi mostrino i limiti a cui si accennava sopra, restano uno strumento potente per ridurre l’impatto di ogni ondata di contagi.
Grazie alla campagna vaccinale, l’altissimo numero di casi verificatosi nei mesi scorsi nel Regno Unito a causa della variante Delta ha infatti portato con sé un carico di vittime molto inferiore a quella dell’anno scorso, a parità di contagi, sebbene la letalità del nuovo virus, nei soggetti non vaccinati, sia superiore a quella del ceppo precedente. Public Health England ha stimato che i vaccini abbiano prevenuto quasi 100.000 morti solo in Inghilterra. Una cifra superiore a 140.000 è stata calcolata per gli Stati Uniti. Maggiore sarà il tasso di persone vaccinate, quindi, minore sarà la quota di infetti e, tra questi, ancora meno quelli che richiederanno cure ospedaliere, alleggerendo le strutture.
Altri vaccini basati su tecnologie più tradizionali di quelli attualmente in uso in occidente potranno facilitare l’estensione della campagna vaccinale a tutto il resto del mondo, riducendo il rischio che, circolando, il virus si evolva in nuove varianti. Contro queste ma anche, si spera, contro altri coronavirus pronti a fare spillover in qualche parte del pianeta, potremo forse mettere in campo vaccini innovativi ad “ampio spettro”, anti pancoronavirus, che sono già in fase avanzata di studio.
La continua ricerca di cure efficaci porterà frutto, non solo contro le forme più gravi ricoverate in ospedale, ma anche per controllare l’evoluzione della malattia in fase domiciliare. Se si riuscissero a realizzare antivirali efficaci come quelli contro HIV, anche la trasmissione del contagio potrebbe essere ulteriormente abbattuta.
Forse la tecnologia ci verrà incontro con metodi di tracciamento elettronico efficaci come quelli usati in Oriente, ma in grado di rispettare la nostra privacy come è imprescindibile in Occidente.
Il virus resterà tra noi, non diventerà “più buono”, né sarà paragonabile a un raffreddore, ma noi impareremo a conviverci, che non significa rassegnarsi ai suoi effetti, ma abituarsi a difendersi con tanti piccoli gesti quotidiani.
La consapevolezza che una pandemia è possibile, e l’esperienza di che cosa comporta, produrranno probabilmente dei cambiamenti duraturi. Il nostro stile di vita potrebbe a sua volta evolversi per cercare meno assembramenti. Si tornerà a viaggiare ma probabilmente in molti casi si manterrà l’abitudine dei meeting online, con una minor perdita di tempo, denaro, emissioni di CO2, grazie alla riduzione dei viaggi aerei. Qualcuno non rientrerà in ufficio e continuerà a lavorare da casa, bar e ristoranti potrebbero mantenere i tavolini all’aperto. Continueremo a lavarci le mani, a usare gel disinfettanti, a tirar fuori dalla tasca la mascherina per quando le circostanze lo richiedono. A preferire incontrarci all’aria aperta invece che stipati in locali affollati. Ma torneremo a vivere, come l’umanità ha sempre fatto, dopo epidemie più spaventose di questa, senza i mezzi di cui disponiamo oggi.
Dr.ssa Roberta Villa, medico , giornalista e divulgatrice scientifica