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La fatica di osservare e ricordare

Ho trovato interessante un articolo del regista Davide Ferrario sulla difficoltà che spesso incontriamo nel guardare e nel memorizzare tutto ciò che vediamo. Ho aggiunto qualche mia considerazione, tenendo conto anche del mio fattore età che comprende una certa dose di amnesia senile fisiologica. Però è anche vero (sono stati fatti esperimenti su una popolazione studentesca giovane) che il cervello, oggigiorno, fatica a ricordare le immagini viste, sia perché sono troppe, sia perché c’è un deficit di attenzione.

Per esempio, a tutti noi capita di iniziare a rivedere un programma tv registrato per poi scoprire che l’avevamo già visto.

Siamo ormai bersagliati da troppi stimoli visivi che portano ad una perdita di concentrazione. E’ stato accertato che se stiamo guardando uno schermo suddiviso in tanti piccoli riquadri o meglio, in tanti piccoli schermi, e poi li spegniamo tutti tranne uno, la nostra attenzione non rimane del tutto concentrata su quell’unico riquadro, ma rimane aperta anche a tutti gli altri schermini neri. Può sembrare una elasticità mentale ma è piuttosto una incapacità a concentrarsi su un unico punto. Cominciando questo comportamento (multitasking, cioè fare più cose contemporaneamente) fin da giovani, si rischia di perdere non solo parte di memoria ma anche la capacità di discutere di un singolo problema e la proprietà di linguaggio corretto. Di recente, purtroppo, la DAD cioè la didattica a distanza, ha messo in luce notevoli carenze in materia di apprendimento da parte degli studenti perché non sufficientemente concentrati.

In ambito cinematografico “noi di una certa età” ci ricordiamo il Cinemascope cioè la proiezione di un film su un grandissimo schermo, che ci faceva tenere il mento all’insù e gli occhi sbarrati. Attorno allo schermo c’era però il buio e le immagini proiettate mostravano per lo più azioni lente. Se il film non ci interessava, facilmente cadevamo in preda al sonno, anche se eravamo circondati da un migliaio di spettatori silenziosi e invisibili. Ora, se entriamo in un multisala, lo schermo è grande, il suono è forte, le immagini sono veloci, gli spettatori presenti sono pochi e buttano un occhio al film e uno allo smartphone (non c’è più il buio in sala). In compenso adesso gli spettatori non fumano. Le immagini rapide del film e il multitasking non giovano alla memoria, e il film viene ricordato meno. Dal Cinemascope siamo passati allo schermo tv e poi a quello del pc, del tablet e dello smartphone. Si restringe la grandezza dello schermo e si restringe ulteriormente il numero degli spettatori (uno). Paradossalmente siamo portati a cercare più i particolari che non il senso generale. Talvolta mi capita di guardare anch’io una partita di tennis al telefono e mi illudo di vedere la pallina. Poi penso ad Antonioni e a Tati che hanno girato sequenze di tennis senza pallina, e mi viene da sorridere!

Ci stiamo abituando a guardare con lo schermo e non con gli occhi. Una volta il cameramen inquadrava una scena chiudendo un occhio e incollando l’altro sul mirino-cannocchiale, sotto un telo nero, così da escludere tutto ciò che era al di fuori della scena principale. Ora inquadriamo la scena con il cellulare, ingrandiamo o alteriamo l’immagine filmata e contemporaneamente teniamo aperta l’attenzione a ciò che sta al di fuori della scena. La realtà rischia di diventare l’immagine dello smartphone. Solo se questa viene filmata, siamo certi che esista l’oggetto della nostra attenzione. Il buon Antonioni aveva già previsto che la cosa fotografata era più vera di quella reale, che l’occhio sarebbe stato un testimone meno attendibile della macchina fotografica. Ora, per essere ancor più sicuri di certificare il vero, l’esistente, ci facciamo il selfie che testimonia la nostra presenza in una scena e soprattutto la veridicità della scena. In altre parole non ci fidiamo più della nostra memoria. Il nostro sguardo si è indebolito, quindi non è più capace, da solo, senza la tecnologia, di comprendere e modificare il mondo.

Lo schermo è diventato lo strumento che può intervenire sulla realtà. Non è più una barriera, una difesa (come il suo significato etimologico), una superficie dove si proietta la realtà: è la realtà stessa. Ricordo che negli anni ’80 una serie televisiva inglese proponeva un finto personaggio chiamato Max, creato al computer, che irrompeva sugli schermi delle tv domestiche e impartiva ordini alle persone. Lo schermo era una persona.

Penso che sarà meglio osservare e guardare una cosa alla volta, senza fretta, almeno per ciò che riteniamo importante. Lasciamo la visione rapida e dispersiva per quelle situazioni (tipo i videogiochi) che non sono fondamentali per la vita. Affidiamo pure i ricordi di certi momenti ai video e ai selfie, ma gustiamoci il momento in cui un fatto avviene. La foto delle Tre Cime di Lavaredo è utile per rinfrescare la mia memoria, per attribuire una data ad un evento, ma le emozioni che provo quando osservo da vicino quello spettacolo dolomitico solo gli occhi me le danno.

Ai piedi delle Tre Cime mi sento parte di un Universo, la foto mi fa sentire un turista.