CENA AL BUIO: un’esperienza indimenticabile

Il gruppo sportivo non vedenti di Vicenza mi ha invitato ad una cena al buio.

Avevo già partecipato a questo evento anni fa, ma volevo riprovare questa esperienza così emozionante.

Noi ospiti siamo stati accolti gentilmente dai non vedenti, che si presentavano e porgevano un aperitivo. Poi  hanno spiegato come si sarebbe svolta la serata e ci hanno accompagnato, a piccoli gruppi, in un corridoio di compensazione situato fra la cucina e la sala da pranzo, oscurato da due tendoni, che venivano mossi in maniera da non far entrare alcuna luce in sala. Quindi siamo stati accompagnati, ognuno tenendo la mano sulla spalla dell’altro, in sala completamente buia, camminando lentamente e allungando la mano libera in cerca di ostacoli. La nostra guida-cameriere, Giovanna, ci ha  fatto sedere ad un tavolo riservato ai vegetariani, raccomandandoci di chiamarla in caso di necessità. Subito ti rendi conto di quanto difficile sia capire dove ti trovi, senza l’aiuto degli occhi: si cerca con le mani di localizzare il piatto, le posate, i bicchieri, le caraffe di acqua e vino, il tovagliolo, poi si cerca di capire a che distanza è il vicino, dove si trova mia moglie, si scambia qualche parola giusto per darsi un po’ di coraggio. Al buio è più difficile parlare, rivolgere  discorsi ad un interlocutore invisibile. Poi senti sfiorare le spalle da una mano leggera: è Giovanna che porta l’antipasto. Con le dita e il naso cerchi di scoprire di cosa si tratta: immagini che siano pezzetti di frittata (ma potrebbero essere tofu o soia o …. Chissà), avvicini alla bocca e mangi. Di tagliare a pezzetti neanche a parlarne: è difficilissimo. Per distinguere l’acqua dal vino annusi, poi avvicini il bicchiere alla caraffa e, aiutandoti con le dita, versi un po’ di liquido e bevi, temendo sempre di sporcare la tovaglia (come è successo a me). Sei sempre avvolto dal buio che non fa paura perché sai dove sei, senti voci e rumori, odori e profumi, tocchi gli oggetti per capirne la forma, esalti tutti i tuoi sensi, tranne la vista. Solo il quadrante fosforescente del mio orologio manda un segnale confuso alla mia retina, ma inutilmente, non serve, anzi dà fastidio.. Tengo gli occhi spalancati alla ricerca di uno stimolo luminoso che non verrà perché la sala è stata sigillata con cura e meticolosità; la luce, anche quella artificiale dall’esterno, penetra attraverso fessure che neanche ci immaginiamo. Poi lascio cadere le palpebre e chiudo gli occhi perché stanchi di stare aperti invano. In questa situazione sono i vedenti ad essere handicappati. I non vedenti si muovono  a loro agio. Il loro gruppo sportivo è particolarmente socievole e simpatico: fra una portata e l’altra, intervengono per raccontare la loro storia o per illustrare una avventura sportiva. Chi ha percorso cammini lunghi (Santiago di Compostela, Porto-Fatima), chi è andato in tandem a Roma, chi ha percorso la Vasaloppet in 11 ore (90km sci da fondo), chi recita una sua poesia, che insegna a non temere il buio e il vuoto, quando si decide di riempirli con sentimenti positivi. Interviene il presidente del gruppo, Sebastiano, che presenta la responsabile dell’Unione Italiana Ciechi di Vicenza (sig.ra Marina). Io mi sento sfiorare le spalle e penso sia Giovanna: era Sebastiano, che giocandomi  un tiro mancino, mi invitava  a parlare in qualità di oculista.

Alla fine della serata, dopo due ore di cecità, entra in sala una candela accesa: subito sembrava impossibile, strano, gli occhi erano “abbagliati” da una fiammella che ha fatto comprendere come erano disposti i tavoli e come era fatta  la sala. E pensare che noi siamo insoddisfatti se una lampadina ha 60watt invece che 100! Una candela restituisce la vista a chi già ce l’aveva, e magari non l’apprezzava fino in fondo. Non la restituisce, invece, a chi non l’ha mai avuta o a chi l’ha persa. Un applauso sorge spontaneo, in segno di  ringraziamento  e di stima verso chi ci ha fatto vivere quest’esperienza di umanità, di forza, di riflessione, di sfida verso noi stessi, di comprensione, di solidarietà. Usciamo all’esterno, illuminati dai lampioni, in un ambiente che ci rende uno diverso dall’altro, un ambiente costruito solo per i vedenti.

Dentro, prima, eravamo tutti uguali.